Gli uomini che fanno la spesa son tutti uguali.
Almeno, mio marito mi ricorda un sacco mio padre: entrambi vanno a fare la spesa e comprano cose senza senso e in quantitá industriale.
Oggi, per esempio, mi sono resa conto di avere almeno 3 kg. di carote in frigorifero… e che ci faccio io, con 3 kg. di carote?!
Improvviseró una torta! Ingredienti?
Farina: c’é.
Uova: ci sono.
Zucchero: c’é.
Carote: abbondano.
Mandorle: c’abbiamo anche quelle!
Vaniglia in stecca: molto meglio… ho la vanillina Paneangeli, io! Nascosta in una valigia di taaanto tempo fa con il lievito Bertolini, mica cazzi!
Mentre io gratto con la grattugia grande, lei gratta la sua carotina con la grattugia piccola, e si lamenta perché non ne esce molto, ma almeno mi aiuta, si diverte e facciamo qualcosa di utile e creativo insieme. Perché la ricetta é semplicissima (per scaricarla, clicca qui: TORTA DI CAROTE), ma noi la creativitá ce la mettiamo lo stesso ed alziamo ancora di piú il livello di “italianitá” della torta: giú una bella manciata di pinoli!
Confesso che avevo dubbi sul risultato finale, perché la frusta elettrica non ce l’ho e forza nelle braccia per montare a neve (a quanto pare) neanche. Quindi stavo lí, con le dita incrociate e la supplicavo: “Per favore tortina, non mi tradire. Mia figlia ci sta guardando, le ho promesso una bella torta da portare all’asilo domattina, non é che mi fai fare una figura di m…, vero?!”
Ed ecco allora che, improvvisamente, mi ricordo bene come ci si sente quanto un esperimento culinario va male.
Ero una bambina, non so esattamente di quanti anni, e decisi di preparare una torta per i miei.
In realtá da bambina mi piaceva un sacco intrugliare in cucina e sperimentavo soprattutto ricette di biscotti. Quella volta peró decisi di fare un dolce, semplice, tipo ciambellone forse, solo che…dimenticai di metterci il lievito!
Quando uscí dal forno era praticamente un pezzo di legno perché, aspettando che crescesse, continuavo a farlo rinsecchire lí dentro. Poi mi saró arresa e mi saró chiesta perché non fosse bello gonfio e soffice…
Fatto sta che i miei genitori ebbero il coraggio di assaggiarlo e dopo, invece di buttarlo via subito, lo lasciarono lí, nella teglia, coperto con uno strofinaccio che “magari piú tardi si mangia”.
Invece piú tardi arrivó l’elettricista. Non so cosa doveva sistemare, ma entró in cucina. Io stavo lí a fare… qualcosa e un “ciao” e “arrivederci” sarebbero stati conversazione sufficiente. Invece no! Mio padre, che lo accompaganava, decise di rendere omaggio ai miei sforzi casalinghi e, pieno d’orgoglio, sollevó lo strofinaccio che tappava “la cosa” dicendo:
“Mia figlia oggi ci ha preparato un dolce! … Vabbé, si é dimenticata il lievito, ma é buono lo stesso”.
Volevo morire e sprofondare negli abissi. probabilmente stavano ridendo di me e non si rendevano conto che avrebbero potuto intaccare il mio amor proprio per sempre.
Invece non intaccarono proprio niente, perché ancora oggi continuo a fare esperimenti e posso affermare con orgoglio che mi vengono meglio le cose improvvisate piuttosto che le ricette seguite alla lettera.
ricordare quel momento però, mi ha riportato indietro di tanti anni e mi ha fatto rivivere la situazione come fossi lí. Forse anche rivedere la donnina di Bertolini ha aiutato, o l’odore del dolce che riempie la casa. Alla fine mi son messa a ridere di me stessa da sola e poi ho pensato: perchè mai mi son vergognata, l’elettricista era un povero alcolizzato che non ricordava nemmeno la strada per tornare a casa, figuriamoci se avrebbe ricordato la mia torta!
Se solo l’avessi saputo 30 anni fa…