Pur non avendo una formazione da traduttrice, qualche anno fa mi venne richiesto di fare questo lavoro. Lo scrittore in questione non era completamente soddisfatto di come i suoi libri (nonostante lo straordinario successo ottenuto) apparivano in italiano.

Per raccontare storie, infatti, e soprattutto per parlare di temi delicati come ad esempio il curanderismo, non basta comprendere ciò che l’autore ha scritto, bisogna anche capirlo e soprattutto sentirlo. Ma per riuscire a “sentire” davvero è necessario averlo vissuto sulla propria pelle, altrimenti resteranno soltanto belle parole messe in fila una dietro l’altra, secondo il dettato dello scrittore o le regole della lingua madre, come la ripetizione di una poesia imparata a memoria o il racconto di un mito trasmesso oralmente di generazione in generazione. Come facevano gli antichi andini (di molto anteriori ai più noti Inca, ricordiamolo sempre), che pur non utilizzando la scrittura, trascrivevano comunque tutte le loro conoscenze nei quipus, nei disegni sulle ceramiche, nei simboli delle stoffe e persino nei movimenti dei balli tipici. Ecco, aver ballato a 3000 metri d’altezza, avvolti in abiti colorati con cochinilla e terra delle Ande, brindando in quechua con un bicchiere cerimoniale chiamato quero, sono solo alcune delle esperienze fondamentali che mi hanno permesso di essere scelta per questo lavoro.

Le altre meravigliose esperienze che ho avuto la fortuna di vivere durante gli anni trascorsi in Sudamerica (dalla Colombia, al Messico, al Perù) riguardano invece più direttamente i riti ancestrali che queste popolazioni realizzano ancora oggi, a volte in maniera totalmente cosciente, altre come un rito obbligato di cui si è perso il significato originario ma che restano comunque nella memoria e pratica collettiva, come ricordi sbiaditi ma tatuati a fuoco nell’anima di popoli interi. Tutti le realizzano ma solo alcuni ne parlano e ne scrivono.
Io ho collaborato (e vissuto, viaggiato, praticato) con uno dei principali autori del tema: H.H.Mamani
