La prima volta che me ne sono andata era il 2001.
DESTINAZIONE: Valencia, MOTIVO: Progetto Erasmus, TEMPO FUORI: 6 mesi.
Scaduti quei 6 mesi ne ho chiesti altri 6, ho dato esami non riconosciuti per il semplice piacere di imparare qualcosa di pratico e, non appena laureata, sono tornata a Barcellona per realizzare un documentario.
Poi sono tornata in Italia, ho trovato lavoro per un’impresa ormai leader a livello mondiale che, un bel giorno, decise di mandarmi a gestire gli studi fotografici nella Big Apple. Ma una volta lì scoprii molto di più… Ed è inutile dire che appena finito il lavoro rientrai, mi licenziai e ripresi un aereo per tornare indietro.
DESTINAZIONE: New York, MOTIVO: Farmi una vita, TEMPO FUORI: indefinito (il mio visto era valido 5 anni).
Dopo un paio d’anni di meravigliosa ma superfrenetica vita nella Città che non dorme mai, decisi di prendermi una pausa. Le vacanze le avrei spese per fare un po’ di volontariato in un paese lontano, affascinante, forse più “puro” ma sicuramente più tranquillo rispetto agli USA. Mandai il cv ad una scuola italo-peruviana del Perù, superai il colloquio e partii.

DESTINAZIONE: Arequipa, MOTIVO: Vacanze/Volontariato, TEMPO FUORI: 2 mesi.
In quel breve periodo, però, conobbi l’uomo che divenne mio marito e il padre di mia figlia. Decisi di rimanere a vivere lì e non avevo programmi per il futuro, finchè la bambina cominciò a crescere e le necessità cominciarono a cambiare. Allora presi una decisione: quando arriverà il momento di andare a scuola, torneremo in Europa, magari proprio in Spagna. Bene – disse mio marito – ma se deve essere Europa, allora andremo in Italia perchè è lì che lei ha parte delle sue radici, della sua famiglia, della sua cultura. Con un anno di “comporto”, alle soglie della 2′ elementare, siamo partiti.

DESTINAZIONE: Prato, MOTIVO: Migliori possibilità per il futuro di nostra figlia, TEMPO DENTRO: Indefinito.
Abbiamo cercato di impacchettare 10 anni di vita nel modo più pratico possibile:
il nostro appartamento è stato messo in affitto completamente arredato e accessoriato; dagli elettrodomestici alle stoviglie ho lasciato tutto all’inquilino, anche le lenzuola. Unica condizione: prendersi cura della nostra gattina. E lo sta facendo egregiamente!
Vestiti, vecchi giochi, accessori inutili, sono stati svenduti ad un mercatino delle pulci che ho inaugurato in città e che è diventato un movimento ancora attivo (eh sì, un po’ ne vado orgogliosa). Tutto quello che è rimasto e che non era considerato “indispensabile” lo abbiamo stipato in una stanza rimasta vuota nell’appartamento di mio suocero.
Il resto lo abbiamo pigiato in sei grandi valigie e ci siamo imbarcati. Niente container per noi che non sapevamo nemmeno dove saremmo andati a vivere…
Ci siamo appoggiati dai miei e abbiamo cominciato, poco a poco, a rifarci una vita. Partendo da un nuovo lavoro per me, una nuova scuola e nuovi amici per mia figlia, tutto nuovo per mio marito, scioccato dal clima, dal cibo, dalla lingua, dalla cultura e da quegli eccetera che solo chi ha vissuto all’estero per lunghi periodi può capire, mentre gli altri possono solo provare a immaginare.

Siamo tornati in Italia mentre ancora in molti pensano che sia meglio andarsene ed abbiamo dovuto rispondere infinite volta alla fatidica domanda: “perchè?“
Ormai è un anno esatto che siamo arrivati e vorrei provare a fare un resoconto. Il riassunto degli anni precedenti lo trovate nel libro “Mamme italiane nel mondo“, mentre i capitoli del nuovo libro di vita cercherò di raccogliergli qui, sotto l’etichetta “Expat rimpatriati”.