I love(d) New York

Oggi siamo uscite a fare una passeggiata in centro, io, Ginevra e Sarah che, da buona americana, ci ha portate al nuovo Starbucks.
Mentre stavamo chiacchierando tranquille, la canzone che usciva sottile dai diffusori ha attirato la mia attenzione: “Famous blue raincoat”.
– Hey, questo é Leonard Cohen! – ho gridato
– Chii? –
Delusione totale. La mia amica americana non conosceva il poeta che per tante notti mi aveva accompagnata nella mia casetta del Queens. Mi faceva sempre entrare un pó di malinconia, ma allo stesso mi ispirava. E cosí potevo sfogare i miei sentimenti sulle piccole tele comprate per giocare a fare la pittrice.
Effettivamente questa non era tra le mie canzoni preferite, ma in questo momento é arrivata come un’illuminazione: come se la lettera del Sig. Cohen a suo fratello, fossero le righe che la “Me Madre” scrive ad una vecchia me…

“I’m writing you now just to see if you’re better. New York is cold but I like where I’m living, there’s music on Clinton Street all through the evening”.

Perché é vero che io ho amato New York, nonostante i ritmi massacranti a cui ero obbligata per sopravvivere; nonostante le ore perse in metropolitana percorrendo distanze enormi; nonostante il caos e la gente che ti travolge camminando per strada; nonostante il gelo e la neve che d’inverno ti attanagliano, beh, poi c’era Clinton Street e il mio teatro…
Quel sottoscala che metteva l’angoscia alle mie amiche, era per me un rifugio magico in cui ogni sera andava in scena la mia compagnia, il Living Theatre, e dopo lo spettacolo la festa e la notte nell’archivio, parlando con i fantasmi intrappolati fra quelle mura. E la musica non era soltanto lí, era ovunque: ogni botola che si apriva sulla strada nascondeva un oscuro jazz club, con le tende di velluto rosso e musicisti da ogni parte del mondo.
Io adoravo lo Zinc Bar e ormai cotrabbasso, piano, sax, congas, erano tutti amici miei.

Poi un giorno mi stancai. Di cosa? Beh, un pó di tutto in realtá.
Ma soprattutto di quella me che stava perdendo il contatto con se stessa, con la magia, e non bastavano gli incontri di reiki per mantenere viva la mia spiritualitá. Dovevo ritrovarmi e per questo avevo bisogno di un posto in cui isolarmi e perdermi allo stesso tempo, recuperare il contatto con la natura e con una razza umana meno alienata e persa a rincorrere il miraggio del successo.

“I hear that you’re building your little house deep in the desert. You are living for nothing now…That night that you planned to go clear.”

Scelta giusta? Scelta sbagliata?
Semplicemente decisi di seguire tutti gli innumerevoli segni che mi indicavano il cammino e una sera, seduta sulla veranda della villa in cui ero ospite per le festa di Natale, con un bicchiere di vino rosso in una mano ed una sigaretta nell’altra, guardando la collina con la scritta HOLLYWOOD proprio davanti a me ed i tre piani di palazzo regale sotto di me, dissi al mio fidanzato:
– Devo partire. Ormai ho deciso: continua pure per la tua strada, perché io me ne andró in Perú. –

“Did you ever go clear?”

Beh, di tutte le avventure che sconvolsero la mia anima in questo posto, la piú grande é senz’altro quella che sto vivendo ora:
esiste forse qualcosa che valga piú del sorriso di un figlio appena sveglio?!

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