Un fine settimana in Cile

Il primo viaggio sudamericano di mia figlia non poteva che essere nella terra degli amati Jodorowsky… (se proprio vogliamo dare una terra a chi indica come unica patria le sue scarpe!!)

La scelta per questo fine settimana -obbligatoriamente- fuori confine oscillava tra Bolivia e Cile, ma il freddo che sta piegando Puno e l’influenza che sta piegando la nostra famiglia ha fatto pendere l’ago decisamente su Arica. Cosí siamo partiti con il “bus cama” delle 22 per arrivare alle 4 di mattina ed avere un giorno intero da spendere nelle menate burocratiche, perché questo “viaggetto” é stato dettato dalla scadenza dei nostri visti e dalla necessitá di rinnovarli al piú presto.
Ma alla fine é stata anche la scusa per cambiare un pó aria e fare qualcosa di nuovo. 

Ed eccoci pronti, tutti emozionati per il primo lungo viaggio in bus della piccina (come se quelli in aereo non bastassero…) che si divertiva da matti, camminando su e giú per il corridoio, ballando e facendo amicizia con i vicini di poltrona.
Ad un certo punto ci hanno servito uno spuntino: panini, biscotti, caramelle e…succo di frutta. Un primo sorso e, con un colpo di testa da maestro, la tremenda ha fatto gol sulla felpa pulita del babbo, rovesciando tutto il bicchiere. Sono morta dalle risate e dentro di me ho pensato: “Che culo! Di solito queste cose succedono sempre a me…stavolta mi sono salvata!”
Ma si sa, ride bene chi ride ultimo.

Il bus é partito: hanno acceso la tele, spento le luci e noi ci stavamo preparando a dormire, o meglio a farla dormire, come al solito attaccata alla tetta. All’improvviso peró un colpo di tosse, poi un altro e un altro ancora e finalmente uno spaventoso conato.
Il primo viaggio in bus ha coinciso con la prima grande vomitata. Naturalmente tutta addosso alla mamma.
Il panico nel vedere che stava male, insieme a quello di non potersi muovere, hanno per un attimo lasciato in secondo piano il fatto che i miei vestiti fossero completamente inzuppati di questo liquido calduccino che usciva tipo sparo da idrante ad intervalli regolari.
Lo sapevo che qualcosa doveva succedere anche a me…

Quando finalmente siamo riusciti a calmarli (lei e il vomito), si é addormentata sul mio petto bagnato e solo allora ho realizzato: “Azz, non ho vestiti di ricambio!”
Si, perché per star fuori solo un paio di giorni bastano mutande e calzini puliti e una maglia per dormire.
E invece no: quando viaggi con un bambino piccolo serve sempre un ricambio anche per mamma e babbo. Ora l’ho imparato e la prossima volta nella “lista da viaggio per il bebé” aggiungeró anche qualcosa per i grandi.

Comunque alla fine siamo arrivati a Tacna. Faceva freddo, pioveva e siamo andati diretti nel primo ostello disponibile. Ci siamo fatti una bella doccia e poi tutti a nanna.
La mattina seguente siamo partiti per il Cile, non con il bus ma con un’auto privata, che ti permette di risparmiare un sacco di tempo al momento di attraversare la frontiera. E naturalmente qui é arrivata la solita parola magica: “Problema“.
“Signori ho un problema con i documenti di vostra figlia. Avete con voi il suo certificato di nascita?”
Eh si, perché non solo per questa “pippetta” del cognome “sbagliato non abbiamo potuto registrarla qui in Perú e l’abbiamo fatta entrare come turista; non solo dato che il suo visto turistico sta scadendo siamo dovuti arrivare fin qua, no, adesso mi vengono anche a presentare quella che doveva essere la soluzione come il problema.
Insomma, alla fine ci hanno lasciati entrare e cosí siamo potuti andare a goderci un bel pomeriggio di mare d’inverno.

Sulla spiaggia di Chinchorro abbiamo fatto passeggiare sulla sabbia fredda una bambina con piumino e cappello, l’abbiamo fatta giocare con i gabbiani e anche con le onde che arrivavano calme e piatte su un bagnasciuga lunghissimo. Poi ci siamo spostati sulla passeggiata, tra risció, biciclette ed i giochi per bambini. Ë stata davvero una bella giornata e solo verso sera abbiamo deciso di rientrare.
Dopo aver aspettato invano un taxi per oltre mezz’ora, ho deciso di andare a chiedere al BarRistorante Pizzeria tutto scritto in italiano. Il gestore, gentilissimo, ci ha chiamato un’auto dal suo telefono e nell’attesa ho deciso di ordinare un cappuccino: se é tutto cosí italiano, sará buono per forza!
E invece…mi hanno presentato mezzo litro di caffé espresso servito in un bicchiere col gambo lungo, con una tonnellata di PANNA MONTATA spruzzata in cima e…la cannuccia!

Per fortuna il taxi é arrivato prima che potessi finirlo, cosí non ho offeso il caro signore che ci aveva aiutati e gli ho pagato i 1.500 pesos del conto.
1.500 pesos…ma quanto costa un cappuccino?! Beh, se 10 minuti in taxi costano 1.800 pesos, allora forse proprio caro non é…

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