
Probabilmente questo non ho è lo spazio più giusto, ma è il MIO spazio e dato che oggi mi sento così, io lo uso così….
Prima una grande foto di Judith Malina da giovane, con i capelli cotonati stile anni ’80. Poi la classica foto presente su tutti i libri di teatro: Judith e Julian davanti al cartello che dice “The Living Theatre“.
Io non ho conosciuto Julian Beck ma solo Hanon, il secondo marito di Judith, e per un secondo penso che chissà com’è stato per lui vivere all’ombra del fondatore del movimiento che rivoluzionò il teatro nel mondo. Mi scappa da ridere ripensando a quando lo vedevamo andare a rinchiudersi in bagno per fumare una sigaretta. Per problemi di salute gli avevano proibito di fumare, ma lui non poteva resistere. Allora Judith lo sgridava come un bambino e gli diceva: “Smettila, sai che non puoi andartene prima di me!” E invece fu proprio così e Judith se n’è andata oggi, 3 anni dopo.

L’articolo che da la notizia usa una foto della regista davanti alla scenografia di “The Brig“, l’opera che mi ha accompagnata ed imprigionata durante i miei anni di vita a New York, la vita con e dentro il Living. L’opera di cui ho realizzato un documentario che lo scrittore Ken Brown, non so perchè, ancora oggi esalta. Guardo la foto, leggo l’articolo e sotto vedo i commenti di tutti i compagni di quell’avventura, tutti i prigionieri del Brig, gli amici che hanno segnato una tappa indimenticabile nel mio percorso, i fratelli Living. E basta un attimo per essere di nuovo lì.

Sulla porta in Clinton Street che scendeva fino al sotterraneo trasformato in “casa” grazie all’instancabile lavoro di Gary Brackett e di tutti i ragazzi che, arrivati lì come attori, fra una prova e l’altra in una sala presa in affitto al Teatro La Mama, accettavano di fare i muratori, gli imbianchini, gli elettricisti, gli scenografi. Furono mesi di lavoro quotidiano e la sera della prima, nonchè inaugurazione del posto, un unico grido si levava dalle gradinate del pubblico: “We did it!”
In un attimo sono di nuovo lì, travolta da migliaia di ricordi di ogni tipo. Sono rinchiusa nello sgabuzzino a manovrare le luci durante lo spettacolo; sono sulla terrazza di Judith e Hanon a chiacchierare con i compagni; sono dietro al bar che aprimmo senza permesso per racimolare i soldi dell’affitto mentre lei è li che muove la testa e picchietta la mano sul tavolo ascoltando il concerto di quella notte.
Ricordo l’imbarazzo la prima volta che dovetti leggere un brano in inglese davanti ad una cinquantina di persone riunite a tavola per festeggiare il Passover; ebrei o no, Judith ci aveva invitati tutti e noi eravamo lì, scoprendo tradizioni fino ad allora sconosciute.
Ricordo anche la prima prova di “Misteryes“: la scena del tableaux vivant fu un vero disastro per me. Avevamo 5 secondi di buio durante i quali dovevamo inventare una posizione significativa prima che il riflettore ci sparasse addosso la luce. Per cinque volte consecutive. Non so perchè decisi di farlo ad occhi chiusi e, naturalmente, arrivavo sempre fuori tempo. Quando la luce si accendeva io mi stavo ancora muovendo. Vidi Judith tapparsi gli occhi con la mano, disperata, e mi sentii morire. Alla fine delle prove andai a cercarla in camerino per chiedere scusa. Il suo sguardo era ancora più dolce del suo sorriso, quando prendendomi la mano disse: “Don’t worry sweety!” Il giorno dopo ero caricata a molla e la sua risata dalla prima fila mi dava ancora più forza per fare scenette al limite del ridicolo. Finite le prove venne a cercarmi in camerino per chiedere scusa. Questa era Judith, la guerriera che quando avevi bisogno ti faceva da mamma, invitandoti a cenare alla sua tavola, lasciandoti dormire in teatro se non avevi un posto dove andare (e quante volte abbiamo dormito in quel teatro pur avendocelo, un posto dove andare).
Nostalgia. Tanta nostalgia e un pò di tristezza si sono impossessate di me, oggi. Ma anche l’allegria di quei ricordi, la gioia di aver vissuto quelle esperienze e di aver condiviso un pezzettino di storia del teatro mondiale perchè Judith, con il Living Theatre, quella storia l’ha scritta.

“To call into question
who we are to each other in the social environment of the theater,
to undo the knots
that lead to misery,
to spread ourselves
across the public’s table
like platters at a banquet,
to set ourselves in motion
like a vortex that pulls the
spectator into action,
to fire the body’s secret engines,
to pass through the prism
and come out a rainbow,
to insist that what happens in the jails matters,
to cry “Not in my name!”
at the hour of execution,
to move from the theater to the street and from the street to the
theater.
This is what The Living Theatre does today.
It is what it has always done.”
Judith Malina & Julian Beck
Nooooooo!! Se è la Judith che penso, io l’ho anche fotografata durante lo spettacolo di Maudy and Jane, lì a NY!! Ricordo, ricordi.
Io ci sono stata appena 9 giorni e tante cose mi sono rimaste nel cuore, figurati a te!
E’ bello ricordare, anche se viene la nostalgia….
…perché, non hai riconosciuto la foto di apertura dell’articolo? E’ tua! Si, un mare di ricordi in quei pochi giorni trascorsi insieme che non volevi finissero mai…se no perché avresti perso l’aereo?! Ahahah! Love U sweetheart!