Ritornare alla città d’origine significa anche ritrovare il vecchio e scoprire il nuovo.
A volte il nuovo è nato dal nulla ma più spesso rinasce invece sul vecchio. Come è successo con Viva, un ristorante giapponese in cui – si dice – si serve Ramen originale.
In quel locale che fa angolo tra una della vie principali della città e quella in cui viveva la mia amichetta delle scuole medie, c’era sempre stata una rosticceria. I primi proprietari erano i genitori di un altro compagno di scuola che, ad un certo punto, cedettero l’attività. La qualità peggiorò indubbiamente, ma dato che era rimasta l’unica rosticceria della zona tutti, noi compresi, continuavamo a servirci lì.
Poi me ne sono andata e non so esattamente cosa sia successo al locale. Erano gli anni in cui Prato diventava sempre più popolata di immigrati cinesi e la zona ormai denominata ufficialmente ChinaTown continuava ad espandersi proprio lungo quell’arteria principale.
Una volta rientrata ho dato per scontato che l’insegna su cui campeggiava una ciotola con due bacchette indicasse l’ennesimo ristorante cinese, ma mi sbagliavo, esattamente come fanno le persone che perdono curiosità su ciò che le circonda o, peggio ancora, danno tutto per scontato.

Certo, i gestori sono davvero cinesi, ma il locale non ha assolutamente nulla a che fare con i loro ristoranti tipici. L’ambiente è delizioso, curato, decorato in stile giapponese; i ragazzi sono gentilissimi, parlano sotto voce e trasmettono solo musica…italiana, ops!
Siamo entrati insieme ad una coppia di amici “nippo-passionate” che già lo conoscevano e, a loro dire, quel Ramen è davvero buono. Io non l’ho mai mangiato perchè sapete che non apprezzo nessun genere di brodo (tranne quando sto male, molto male) però sono sempre curiosa di sperimentare piatti nuovi ed ho accettato subito l’idea di approfittare del take away. Una volta entrati, però, quello spazio ci ha subito attratti: l’apparecchiatura semplice ma curata, i menù con copertina di legno e foto di ogni portata, la disponibilità del giovane che ci è subito venuto incontro con un sorriso e, secondo me, anche un tocco di feng shui perchè tutto lì dentro è davvero tutto troppo equilibrato.

Ci siamo seduti, abbiamo ordinato e ci sono stati offerti una specie di baccelli per ingannare l’attesa. Per andare a lavarci le mani ci hanno fatte passare direttamente dalla cucina, tra i fornelli e il bancone su cui c’erano ciotole di cibo ordinato e coperto con la pellicola. Anche il bagno era pulito, con carta e sapone e questa è una delle cose che ancora apprezzo di più da quando siamo tornati: i bagni puliti e dotati di carta che, in Perù, purtroppo non esistevano.
Quando siamo scese (io e mia figlia) i tre ragazzi erano già tutti intenti a preparare i nostri piatti in sincrono, come in una piccola catena di montaggio verso il risultato finale: la presentazione dei piatti, tutti decorati con semi ed erbette, dalla ciotola di riso bianco ai Takoyaki svolazzanti.

E finalmente eccolo, lui, il vero protagonista della serata: un piattone di Ramen che mio marito, da buon arequipegno, ha scelto ovviamente in versione ultrapiccante e che mi ha riportato di colpo all’infanzia e ai cartoon giapponesi… l’ispettore Zenigata, il ristorante in cui Marrabbio cucinava Okonomiyaki, perfino Doraemon che però amava i Dorayaki… mia figlia lo ha scoperto probabilmente con Kung Fu Panda, ma l’importante è che noi invece
abbiamo scoperto un altro bel posticino nella nostra piccola città sempre più multietnica. #siamoprato